Premessa
Abarka, amaugere, uana bire, djiko. Sono parole della lingua dogon, una lingua parlata da circa 700 mila persone in Mali. Parole che hanno un significato conosciuto da tutta la popolazione che parla quella lingua.
Chiunque può tradurre i suoni della voce in parole e leggerli nella sua lingua o nella lingua in cui sono state scritte, ma difficilmente, non sapendo né la lingua in cui sono state “scritte” né il loro significato, saprà cosa vogliono dire.
Per esempio abarka, che si legge abarcà, vuol dire grazie, amaugere (tal quale) benvenuto o arrivederci, uana bire (uana birè) buon lavoro e djiko (dgicò) acqua pura. Ecco, senza un’istruzione, senza almeno un’infarinatura non saremmo in grado di comunicare con persone con un linguaggio parlato così diverso dal nostro. Sbaglieremmo pure gli accenti non facendoci capire.
Lo stresso vale per la fotografia.
Anni fa anche io pensavo che la fotografia fosse un linguaggio universale, comprensibile a tutto il mondo e capibile da tutti.
Mi sbagliavo.
Anche la fotografia, come la parola, ha bisogno di una decodifica, di un codice che la renda leggibile, di regole “grammaticali”. Queste regole non sono comuni a tutti le lingue.
L’italiano, il francese, il tedesco ecc si scrivono da sinistra a destra e dall’alto in basso. Così non è per il giapponese tategaki che si scrive dall’alto in basso e da destra a sinistra. Questo si trasporta anche nella lettura di una immagine. Noi siamo abituati a “leggere” una foto come fosse una sequenza di parole. Da sinistra a destra e dall’alto in basso, seguendo immaginarie righe. La stessa foto racconta cose diverse se a leggerla è un giapponese, perchè avrà una forma mentis diversa dalla nostra e l’abitudine di leggere in un altro modo.
Gli arabi scrivono in maniera ancora diversa, da destra a sinistra e dall’alto in basso. Anche per loro la visione di un’immagine ha una “lettura” diversa.
Altro problema è dovuto al background culturale di chi legge un’immagine. Non tutte le culture hanno la stessa sensibilità su certi argomenti: Una foto di nudo, genere ormai considerato normale per il mondo occidentale, ha una valenza diversa in altre culture. In un paese musulmano integralista sarebbe pornografia, in Cina le immagini di Ren Hang sono state censurate.
Di contro le immagini di un fotografo indiano o cingalese avrebbero poco appeal nella vecchia Europa, raccontano cose diverse con un linguaggio diverso. Un linguaggio che non non siamo in grado di capire. Ketaki Sheth, Prabuddha Dasgupta, Anita Khemka, vengono ritenuti ottimi fotografi in patria, ma non vengono considerati tali in occidente. Abbiamo proprio un linguaggio diverso. Lo si vede in tutto. Dal modo di vestirsi della popolazione al modo di comportarsi, alla pubblicità. Siamo incompatibili.
Preferiamo dare la palma di miglior fotografo a qualche occidentale perché più affine al nostro background e al nostro tipo di lettura. Non è un caso.
Il linguaggio espresso in una immagine quindi ha molto a che fare con chi quella fotografia la legge. Internazionalizzare il linguaggio è impossibile. Una lettura, da chicchessia, sarà sempre condizionata da fattori che esulano dall’immagine in se, andando a pescare in quel retroterra culturale insito in ogni persona. E siamo tutti diversi.
Se sei arrivato fino a qui con la lettura ti dico abarka, vuol dire che ho fatto un uana bire. I commenti ovviamente sono amaugere!
3 risposte
Articolo interessante. Effettivamente è vero. La lettura è soggettiva non oggettiva. Come un libro che può piacere o meno, appassionare o meno anche una foto suscita lo stesso effetto.
Ciao
Tony
Le affinità tra una lettura di un testo e una di una fotografia ci sono, è innegabile. Dovrebbe stare al lettore immedesimarsi nel contesto della foto e cercare di capire qualcosa di più, uscendo dal suo schema mentale preconfezionato. Difficile che succeda. Nei concorsi, così come nelle letture portfolio o di singole immagini se si incontra il gusto della giuria si va avanti altrimenti nulla. Ho visto passare immagini brutte e non passare mezzi capolavori. Ma anche il mio è un giudizio soggettivo.
Buona giornata
Indro Montanelli soleva dire che un giornalista deve farsi capire anche dall’ultimo minatore del Minnesota. Altrimenti è lui che ha sbagliato qualcosa. Questo è vero, basta però parlare la stessa lingua. Io posso cercare di essere il più chiaro possibile quando parlo con un Dogon, ma se non gli parlo nella sua lingua ho poche speranze di essere ascoltato e sopratutto capito.